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Lavorare in un ufficio tradizionale non è più l’unica opzione per le imprese in crescita.
Invece, sempre più imprenditori si rivolgono ai coworking come soluzione per le loro esigenze di spazio di lavoro.
I coworking sono spazi di lavoro condivisi che offrono flessibilità, costi più contenuti e opportunità di networking.
In questo articolo, esploreremo i vantaggi dei coworking per le imprese in crescita e perché sempre più imprenditori stanno scegliendo questa soluzione.

Costi più contenuti
Una delle ragioni principali per cui le imprese in crescita si rivolgono ai coworking è per i costi più contenuti. Invece di affittare un ufficio tradizionale, dove l’impresa deve assumersi l’intero costo dell’affitto, delle utenze e dei servizi, i coworking offrono una soluzione più economica. I costi sono divisi tra tutti i membri del coworking, rendendo la soluzione accessibile a un maggior numero di imprese.

Flessibilità
Un’altra ragione per cui le imprese in crescita scelgono i coworking è per la flessibilità che offrono. Ci sono spazi di lavoro privati, spazi di lavoro condivisi e sale riunioni, che possono essere prenotati in base alle necessità dell’impresa. Ciò significa che le imprese in crescita possono adattare lo spazio di lavoro alle loro esigenze, senza dover affrontare le limitazioni degli uffici tradizionali.

Networking
I coworking offrono anche l’opportunità di fare networking e incontrare altri professionisti. Questo è un vantaggio significativo per le imprese in crescita, che possono beneficiare dell’interazione con altri imprenditori e professionisti. Il networking può portare a nuovi contatti commerciali, partnership e opportunità di business.

Accesso a tecnologia e attrezzature
I coworking offrono anche accesso a tecnologia e attrezzature avanzate, che potrebbero essere troppo costose per le imprese in crescita se acquistate in proprio. Ad esempio, potrebbero avere accesso a stampanti di alta qualità, attrezzature per la videoconferenza e altre tecnologie necessarie per il proprio lavoro.

Miglioramento della produttività
Infine, lavorare in un coworking può migliorare la produttività delle imprese in crescita. Ciò è dovuto alla flessibilità, alla riduzione dei costi e all’accesso ai servizi e alle attrezzature avanzate, come discusso in precedenza. Inoltre, lavorare in un ambiente collaborativo può aumentare la motivazione e la creatività, incoraggiando gli scambi di idee e la condivisione di esperienze.

In conclusione, i coworking offrono molteplici vantaggi alle imprese in crescita. Non sorprende, quindi, che sempre più startup scelgano di lavorare in coworking. Questa soluzione può rappresentare una vera e propria rivoluzione per le imprese.

Se sei alla ricerca di uno spazio di lavoro in grado di supportare la crescita della tua impresa, contattaci!

Negli ultimi anni i servizi di streaming si sono moltiplicati e hanno ottenuto sempre più iscrizioni.
Quasi tutti noi siamo in possesso di almeno un abbonamento tra i vari Netflix, Amazon Prime, Disney+, Now, Infinity, AppleTV e chi più ne ha più ne metta.

Quante volte, tornati a casa dopo una giornata lavorativa, accediamo al nostro account per svagarci e addentrarci in uno dei tanti mondi di fantasia proposti da queste piattaforme?

Ci sono le serie “svuota testa”, quelle Sci-Fi, quelle crime ma anche quelle che offrono spunti riflessivi per la vita quotidiana e, talvolta, anche quella lavorativa.

Ecco quindi che vi proponiamo un elenco di titoli utili a svagarsi, ma anche a riflettere sul proprio modo di ragionare e di lavorare.

1) Mad Men.
Questa serie ci porta dentro un’agenzia pubblicitaria degli anni 60.
La nascita di alcuni mestieri, quali il copywriter ed il grafico, lo sviluppo di idee creative e tanto altro in questa perla che racconta la vita all’interno di un team determinato e competitivo.

2) Inside Bill’s Brain.
Una docu-serie che mette a nudo una delle più grandi menti di sempre: Bill Gates.
Per la prima volta nella sua vita, l’imprenditore visionario si racconta davanti alle telecamere, svelando (parte) della sua storia.

3) Super Pumped
Questa serie, prodotta da Showtime, ha raccontato, nella sua prima stagione, la nascita (ed i problemi) dell’azienda Uber.
La prossima stagione, invece, racconterà il successo di un’altra società che ha rivoluzionato il nuovo millennio: Facebook.

4) StartUp
Una perla nascosta, appena rinnovata per una terza stagione, che mostra la nascita di una società di cripto-valute la quale, a causa di alcune manovre finanziare non troppo pulite, finisce nel mirino dell’FBI.

5) Halt and Catch Fire
Negli anni ’80 inizia il boom dei personal computer e dei videogiochi.
Attraverso gli occhi dei protagonisti, questa show ti permette di osservare la nascita della Silicon Valley.

6) Scissione
Quante volte capita di essere distratti sul lavoro a causa di motivi personali?
Questa serie Apple Tv+ immagina una società che, tramite un programma sperimentale, fa cancellare i ricordi personali dei dipendenti una volta che questi sono entrati in servizio.

7) The Office.
Ok, ci stiamo spostando sul campo delle serie “svuota testa”, ma la popolare sitcom creata da Ricky Gervais è sicuramente riuscita nel suo intento: ricreare un ambiente lavorativo nel quale tutti si possano ritrovare (ridendo dello stesso).
Certamente il tutto viene estremizzato, ma le avventure di Jim, Pam, Dwight, Michael e tutti gli impiegati della Dunder Mifflin, sono proprio quelle tipiche da “ufficio”.

8) Camera Café.
Sì, anche questa va presa con leggerezza, ma non possiamo negare l’importanza della macchinetta del caffè all’interno di un’azienda.
Se c’è armonia davanti ad un espresso insieme ai colleghi, si lavora meglio.
Perciò non la consigliamo certamente per l’alto livello dei contenuti (anche se le canzoni dei Pooh eseguite da Paolo Bitta sono un cult della televisione italiana) ma piuttosto per ridere di un momento sacro della giornata dell’impiegato: la pausa.

9) Il codice da un miliardo di dollari.
Una docu-serie che racconta la battaglia legale tra un gruppo di ingegneri tedeschi e Google.
Il motivo della disputa? La creazione di Google Earth. Idea rubata, a detta degli ingegneri, proprio a loro.

Dulcis in fundo…

10) WeCrashed
La nuova serie Apple Tv+, con protagonisti i divi di Hollywood Anne Hathaway e Jared Leto, ci coinvolge in maniera particolare.
Infatti, la storia narrata è quella di WeWork, uno dei coworking più famosi del nostro settore.

La mattina dell’11 gennaio 2022, la sindaca Franca Foronchi ha fatto visita alla nostra struttura ed alla nostra community.
È stato un incontro costruttivo, nel quale si è parlato del futuro delle start-up e delle imprese del territorio.
Queste le parole della prima cittadina di Cattolica “Grazie per l’accoglienza e complimenti per il vostro coworking space, una bella realtà per tante start up e imprenditori del territorio.”

Negli ultimi due anni le abitudini lavorative di milioni di persone sono state stravolte per causa di forza maggiore.
La pandemia ha praticamente obbligato le aziende a concedere, e in molti casi a sperimentare per la prima volta, lo smartworking.
I pregi ed i difetti di questa metodologia lavorativa sono stati più volte analizzati da noi ma, soprattutto, dai quotidiani nazionali che hanno focalizzato l’attenzione sull’importanza dell’interazione sociale, dall’ufficio condiviso a, banalmente, la chiacchierata davanti alla macchinetta del caffè.
Adesso che ci stiamo avviando (con le dita incrociate) alla fine della pandemia, il dibattito è aperto: quale futuro per lo smartworking?
Alcune società sembrerebbero indirizzate verso una via di mezzo con la presenza in ufficio 3 volte su 5, altre al rientro totale.
Noi, nel nostro piccolo, abbiamo visto un incremento della presenza degli smartworker all’interno dei nostri uffici, arrivando ad avere un’occupazione del 95%.
D’altronde, la realtà dei coworking, appoggia la politica del lavoro agile ma favorisce l’incontro e la condivisone, il classico dei casi nei quali ci si trova in mezzo.
Nel nostro piccolo ci auguriamo che l’efficienza di questo metodo possa aver insegnato qualcosa e che il futuro sia tracciato in questa direzione, d’altra parte non smetteremo mai di credere che è l’incontro a stimolare la creatività ed il nostro motto lo testimonia: “You’ll never WORK alone”.

Diciamolo subito: siamo fortunati.
Sì, perché se abbiamo potuto introdurre il modello del “beach working” è solamente grazie alla nostra ubicazione su un territorio turistico e marittimo.
Quello che è certo è che il sistema piace e funziona.
Ma che cos’è il “beach working” ? Per spiegarlo dobbiamo tornare indietro di un anno.

Dopo due mesi di lock-down totale, nei quali in molti hanno consumato serie-tv, cantato sui balconi e riscoperto (o forse scoperto per la prima volta) l’efficienza dello smart working, SpazioTu riapre le proprie porte, adeguandosi alle nuove normative anti-covid.

La voglia di viaggiare e rilassarsi è tanta ma il lavoro che si è accumulato nei mesi precedenti non può essere trascurato.
Molti italiani, quindi, prenotano le proprie vacanze nel bel paese, portandosi appresso il proprio pc e i propri doveri.
Purtroppo però, nelle case in affitto le connessioni internet non sono presenti mentre in hotel ed in spiaggia, spesso, ci sono ma vacillano.

Ecco quindi l’idea di creare la “business summer card”, una tessera ricaricabile di validità due settimane che consente ai turisti della nostra Cattolica di utilizzare le postazioni in open-space, distanziate tra di loro come previsto dalla normativa, avendo così a disposizione un ufficio anche in vacanza.

Un tuffo al mare, un’occhiata alle mail e poi via, ci si reca a SpazioTu per smaltire il lavoro accumulato.

Il servizio è stato un successo e la quasi totalità dei nostri clienti del 2020 sono tornati da noi per poter sottoscrivere una nuova card, mentre, molti altri, ci stanno scoprendo per la prima volta in questa estate 2021.

Gli abbonamenti per le postazioni in open-space sono triplicate rispetto al 2019 e questo è soprattutto grazie alla business summer card, un servizio che ci permette di ampliare il nostro network, incontrando le più svariate attività provenienti da tutta Italia.

Lavorare in un ambiente professionale senza togliere tempo al relax e allo svago, ecco perché il “beach working” è un sistema che piace.

La pandemia non ha azzerato gli spazi di lavoro in condivisione, anzi: nuove tipologie avanzano come alternativa all’headquarter classico e allo smart working

All’inizio del 2020 il co-working era sicuramente una formula in crescita nel mondo dei nuovi spazi per uffici in zone metropolitane, perché univa la possibilità di interazione tra attività complementari e la convenienza economica di un service hub completo a disposizione. Una soluzione che allettava professionisti, startup, studi creativi e dell’IT, aziende di servizi innovative.

Poi è arrivata la pandemia e ci siamo chiesti: ma tutte le iniziative co (co-working, co-housing, co-education) che hanno alla base il concetto di sharing, di attività da fare e da pensare insieme, di prodotti e servizi da condividere, che fine faranno con il distanziamento fisico?  

C’è stato sicuramente un momento difficile di riorganizzazione degli spazi e dei nuovi servizi di sanificazione, tanto più essenziali in un luogo dove alla base è prevista la rotazione delle persone. Eppure, passata la prima ondata della pandemia, si sono create nuove opportunità che non erano ancora state ipotizzate: grandi società di servizi hanno realizzato quali sono sia i costi economici dei grandi headquarters centralizzati sia quelli sociali del pendolarismo di centinaia o migliaia di dipendenti. E dopo un iniziale entusiasmo per i risparmi generati dall’home working, è stato chiaro per tutti che non sempre il lavoro da casa full time è la soluzione migliore. 

Durante lo smart working che abbiamo vissuto in primavera, ci siamo resi conto dei benefici della non-mobilità,  ma ci siamo anche accorti che spesso ci mancavano la socialità fisica del luogo di lavoro e alcune facilities: dalla sedia ergonomica alla sala riunioni, dalla connessione efficiente a una buona concentrazione. Perché ci mancava la separazione tra tempo di lavoro e tempo privato che erano diventati tutt’uno.

Le soluzioni in coworking hanno quindi ora ripreso forza non solo nelle grandi città, ma anche nei grossi centri di provincia che possono fare da aggregatori sia per realtà d’impresa locali sia per aziende internazionali attive in quel territorio. Sono soluzioni che piacciono alle aziende (pago quando serve) e anche ai dipendenti, che usufruiscono dei plus del luogo di lavoro (servizi e contatti) senza avere gli svantaggi di una mobilità quotidiana spesso impegnativa.

È uno scenario ancora in fase di elaborazione, l’ambito delle soluzioni ibride si sta allargando anche a altri settori come quello dell’ospitalità. All’interno di alcune catene di hotel iniziano a trovare posto spazi simili ai coworking che non sono più solo le grandi sale meeting, ma piccoli uffici attrezzati anche per videocall o piccole riunioni e che risolvono le esigenze di una clientela che riprenderà a viaggiare ancora per lavoro. Più efficienti delle hall degli alberghi o delle mediamente scomode postazioni nelle camere d’albergo. 

 

Fonte: http://www.cieloterradesign.com/coworking-pandemia-design/

Seeee e chi lavora più?

  • Nei negozi di arredamento e design è in arrivo una nuova tipologia di scrivania
  • Si chiama Chaise Renversée  e l’ha creata un architetto francese
  • Si tratta di un tavolo da lavoro molto semplice
  • Se lo si gira di lato, diventa una comoda sdraio
  • Forse non stimola granché la produttività

 

 
 

Il lockdown e la pandemia di Coronavirus ci hanno insegnato lo smart working: qualcosa che era solo appannaggio di pochi fino a poco tempo fa in Italia ora ci viene additato come la giusta modalità lavorativa per il futuro. In parole povere, lo smart working (letteralmente, lavoro intelligente) è il lavoro da casa che si svolge in remoto tramite l’uso del pc.

Lavorando da casa si risparmiano le spese di spostamento e si evita lo stress delle corse nel traffico. Per chi ha famiglia, permette di gestire i vari impegni con maggiore agilità. Secondo molti, aumenta l’efficienza e la produttività dell’impiegato. Ovviamente, per lavorare da casa bisogna anche attrezzarsi: quanto meno è necessaria una robusta scrivania per il computer, o per gestire tutte le scartoffie del caso.

 

Chi non ha mai praticato lo smart working sulle prime avrà potuto trovarsi un po’ in difetto con il mobilio casalingo. Adesso però è in arrivo la soluzione ideale per tutti, specie per chi non ha molto spazio in casa. L’architetto francese Pierre-Louis Gerlier ha infatti creato un pezzo di arredamento che si chiama Chaise Renversée, ovvero “sedia a testa in giù”. Che nome buffo, vero? Ma cela un’idea diabolicamente geniale.

 

La scrivania per chi non vuole una scrivania

Il design scelto da Gerlier è molto spartano, pure troppo. Comunque ha il pregio di adattarsi ad ogni tipo di arredo. Come lo stesso architetto dice, la Chaise Renversée è la scrivania per chi non vuole una scrivania. Solida e robusta, è un perfetto piano d’appoggio per chi lavora con il computer. Una volta terminati i propri compiti, il lavoratore esausto può rimuovere ciò che c’è sul piano del tavolo, girarlo lateralmente e… sdraiarsi comodamente.

 

 

Occhio: abbiamo detto DOPO aver finito di lavorare. Il pericolo che si corre è che venga il desiderio di schiacciare un pisolino anche in pieno orario lavorativo. Potresti dire che non c’è bisogno di avere la Chaise Renversée, basta il divano. Ok ma questa è comunque una tentazione in più. Ancora non si sa il costo per questo pezzo di design: basta che per acquistarlo uno non debba dare fondo a tutto il suo stipendio.

 

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FONTE: Commenti Memorabili (https://www.commentimemorabili.it/scrivania-diventa-sdraio/?fbclid=IwAR30A7Ja_k87_ddtbkMQ93vM8BcHXa-2q1ciMpws2El1yrbNszSIVxtMg24)

Il lavoro, più di qualsiasi altra attività umana, rappresenta perfettamente la forte attrazione del nostro cervello per le situazioni stabili. Ci siamo evoluti cercando di allontanare il più possibile le minacce, tanto che le incertezze ci creano sempre spiacevoli condizioni di malessere.

Pertanto, la mente ama (follemente?) gli schemi ricorrenti, a tal punto da farci rinchiudere cognitivamente dentro routine noiose, ma che al tempo stesso ci tranquillizzano. In sostanza, viviamo (e ci piace che sia così) con l’illusione del controllo sul tempo presente, perché, in fin dei conti, lo sforzo di proiettarci nel futuro andrebbe a rompere l’equilibrio che (a fatica) abbiamo conquistato.

Poi, quando la “preziosa” zona di comfort va a farsi benedire, ecco che il cervello, con gli stessi meccanismi di protezione, va alla ricerca di altre nostre identità (secondarie?) per far quadrare di nuovo tutto. Si tratta di automatismi a volte lenti, ma che comunque si innescano immediatamente.

Ho messo alla prova questi sistemi quando, alla soglia dei cinquantanni, mi sono reso conto che la mia professione di pubblicitario non collimava più con gli obiettivi di auto-realizzazione cui aspiravo. Ovviamente, ciò non è successo da un minuto all’altro, nel senso che il “disegno”, sebbene latente, stava prendendo forma attraverso “passate di colore” successive, ma è stata la decisione istantanea, e forse in larga parte inconscia, a far “saltare il banco”.

Così, tirata la riga sul percorso professionale fin lì svolto, ecco che sono letteralmente sprofondato sul divano, insieme a tre domande:

  • Come pagherò le bollette?
  • Cosa so fare?
  • Cosa potrei fare?

Non nascondo che in quel momento di affanno o, meglio, di iperventilazione, la maggiore difficoltà è stata quella di riuscire a dare un ordine ai pensieri, alle azioni e, non da ultime, alle emozioni.

Ho fatto un elenco di cose piacevoli

Si sa, il lavoro occupa gran parte delle nostre giornate, e per questo motivo ci preclude un sacco di attività che rimandiamo sistematicamente sine die.

Si tratta di cose spesso banali e a costo zero il cui prezzo, però, lo determina il tempo. Ora, che mi ero liberato dai vincoli temporali, ho cominciato a fare jogging in orari “da pensionati”, ho letto una quantità inverosimile di libri (quelli che di solito accumulano mesi di polvere sul comodino), ho ripreso la macchina fotografica e immortalato con “occhio ghirriano” i paesaggi distanti non più di un chilometro da casa mia.

In tutto questo, cosa c’era di funzionale all’obiettivo di “rimettermi in partita”? Nulla o quasi nulla, ma il mio umore è migliorato. E quando siamo felici vediamo meglio il mondo, comprese le sue opportunità.

Ho collegato tutti i puntini

Se da un lato è semplice sapere chi siamo (sociologo -sic!-, architetto, ingegnere, etc.), è assai molto più complicato renderci conto di ciò che sappiamo fare. Infatti, cosa sapevo fare?

La prima risposta (automatica) è “Non so fare niente”. Subito dopo, e questo è il lavoro più duro, occorre “infilarsi gli stivali” e cominciare a cercare in mezzo al fango.

Nel mio caso, ma credo di poter dire che sia così un po’ per tutti, non riuscivo a dare un valore alle abilità che stavano a corollario della mia mansione principale (o ufficiale). Allora, materialmente (nel senso autentico del termine) ho messo nero su bianco le azioni giornaliere che mi avevano accompagnato per anni: parlare, raccontare, convincere, rappresentare.

Sembrerà una faccenda dozzinale, ma quella sequenza mi ha fatto vedere delle relazioni forti e come esse stesse formassero una rete di connessioni “spendibili”. Eureka! Avevo molte skill del formatore e non lo sapevo.

Ho creato il mio marchio personale

Le cose esistono solo quando è possibile attribuire loro un nome, un’immagine, una storia. In questo senso ho capito che se volevo giocarmi le mie opportunità dovevo diventare un brand.

Ho cominciato a “raccontarmi” sul blog, ho iniziato a tessere relazioni “sociali sui social”, ho messo a disposizione (Creative Commons sempre siano lodate) le mie risorse. Insomma, ho fatto tutto quello che dovrebbe fare un marchio quando si vuole posizionare nella mente dei suoi potenziali clienti. Ciò mi ha permesso di vedere oltre quello che ritenevo essere l’orizzonte.

Ho portato il mio contributo, in alcuni casi anche gratuitamente, a conferenze, convegni, workshop con lo scopo principale di allagare il mio portafoglio di relazioni. Parafrasando un antichissimo adagio, soprattutto oggi grazie ai collegamenti planetari, “il mondo è piccolo, la gente mormora” e, di conseguenza, la ruota riparte.

Ho cancellato dal mio vocabolario la parola “impossibile”

Quando ci si rimette in gioco, è indispensabile saper cogliere le opportunità anche quando sembrano esserci solo dei problemi.

Per fare un esempio, le mie primissime formazioni hanno riguardato esclusivamente l’insegnamento delle tecniche più efficaci per “realizzare delle presentazioni che spaccano” (detto fra noi, è ancora la cosa su cui investo gran parte del mio tempo), poi mi è stato chiesto se ero in grado di ampliare il novero dei miei argomenti.

Sempre la solita (maledetta) zona di comfort mi consigliava di “stare nel mio” e, conseguentemente, di declinare l’offerta, poi (ecco l’importanza di vedere come collegare i puntini) ho strutturato corsi su argomenti che erano già nelle mie corde: public speaking (è uno dei capisaldi delle presentazioni multimediali), relazione con il cliente (le slide non sono mai fini a loro stesse, ma vengono fatte strategicamente per vendere un prodotto, un servizio, un’idea), negoziazione e problem solving (il senso di un cosiddetto “PowerPoint” è sempre quello di fornire un metodo e una soluzione).

Ora, non so se il mio personalissimo viaggio dell’eroe abbia raggiunto la sua Itaca definitiva. Di certo, non escludo di salpare di nuovo. Anche quando tutti sconsiglieranno di farlo perché il mare è in tempesta.

FONTE: Sergio Gridelli ( https://www.sergiogridelli.it/2020/02/16/reinventarsi-certa-eta/ )

“Come ti va? Bene perché oggi è primavera”

Questa frase emerge dall’album “Terra, Luna e Margarita” datato 2007 e firmato dalla band reggiana “I Rio”.
I Rio vengono dalla parte più a Nord della nostra regione, l’Emilia, zona che ha tante similitudini ma altrettante differenze con la Romagna.
Chi non vive in Emilia-Romagna non coglie neanche i confini geografici di queste due terre, figuriamoci quelli culturali e dialettali.
Oggi però non mi soffermerò sulle contrapposizioni tra le due ma piuttosto su un elemento comune: il risveglio estivo.

Siamo ormai in Aprile, il caldo (fatta eccezione per qualche giornata uggiosa) si fa sentire con sempre più insistenza, i locali riaprono a pieni battenti, qualche hotel si appresta a pulire i propri spazi mentre effettua colloqui di lavoro per formare lo Staff estivo, altri aprono le porte ai turisti giunti per le vacanze pasquali, i bagnini sistemano le passerelle e le assicurazioni dei motorini vengono riattivate per poter lasciare le macchine nel garage di casa.

E’ il preludio estivo, la più importante delle 4 stagioni per l’Emilia-Romagna, o meglio, come si dice qui in zona, è semplicemente LA stagione.
Ogni anno è una routine che si riattiva ma è sempre come se fosse una ventata di freschezza dopo il lungo inverno che, a differenza di una famosa serie TV, non sta arrivando ma ci sta, finalmente, salutando.
Milioni di turisti fanno visita a Rimini, Riccione, Cattolica ma anche a città come Bologna, Parma e Modena, attratti evidentemente dall’ospitalità e dall’efficienza di questo meccanismo primaverile/estivo.
Nel 2018 il dato di affluenza ha raggiunto un record mai visto prima: 60 milioni di turisti solamente in Emilia-Romagna.

Ma se per un visitatore l’estate è sinonimo di relax, cosa vuol dire per un emiliano o un romagnolo?
E’ un mix di sentimenti e responsabilità. Per tradizione si è abituati a rimboccarsi le maniche e darsi da fare da Maggio a Settembre, ancor di più rispetto agli standard.
Una condizione che non tutti accetterebbero, d’altronde prendiamo come esempio Agosto.. è il mese di vacanza per eccellenza! Ma per far sì che lo sia a tutti gli effetti qualcuno dovrà pur lavorare e per chi vive in Emilia-Romagna non è un problema, l’ospitalità da queste parti è nel DNA.

Con SpazioTu stiamo cercando di creare un ambiente lavorativo dove il calore e l’accoglienza estiva vengano estese durante tutti i 12 mesi dell’anno. Il coworking (come già analizzato in questo articolo: https://www.spaziotu.com/cattolicaelegrandicitta/ ) è un ottimo format per l’Emilia-Romagna in quanto l’indole loquace è presente in tutti i residenti e perciò la possibilità di far nascere collaborazioni all’interno del nostro spazio è concreta e facilmente attuabile.

Durante la stagione estiva SpazioTu sarà aperta come sempre, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.
Saranno direttamente i nostri coworkers a scegliere quanto tempo trascorrere in riva al mare e quanto in nostra compagnia.

Siamo nel 2009 quando un ragazzino di soli 13 anni si ritrova a dover compiere la prima grossa scelta della sua vita: che scuola superiore scegliere?
Un passo che abbiamo compiuto (quasi) tutti, piccolo ma fondamentale per imparare a fare considerazioni sul proprio futuro.

E’ meglio seguire il proprio istinto e scegliere un percorso basato sulle proprie capacità o andare su un campo meno compatibile con la nostra indole ma più sicuro a livello lavorativo?

Come in tutti i grandi quesiti non esiste una formula magica, non c’è giusto o sbagliato, la soluzione sta spesso nel mezzo.
Questo tipo di scelte identificano molto il soggetto e a volte, come vedremo più avanti, sono comuni per un’intera generazione.

Crescere con l’ombra della grande crisi ha portato i ragazzi degli anni 90 a vivere le prime esperienze lavorative con ansia e poche prospettive.
Quante volte avete sentito frasi quali “non avrò mai un posto fisso”, “l’importante è avere un lavoro di ‘sti tempi” oppure “non arriverò mai alla pensione” ?
Tante, troppe volte.

Penso che “paura” e “rischio” siano parole apparentemente opposte ma complementari.
La prima può essere conseguenza dell’altra.
Difatti dopo un azzardo ci si ritrova spesso con l’ansia di aver fatto il passo più lungo della gamba e questo porta a non superare mai i propri limiti.
Tale visione, purtroppo, è quella di tanti giovani d’oggi.

Perché affermo che la paura ed il rischio sono complementari? Perché l’uno necessità l’altro.
Infatti proviamo ad invertire i fattori: la paura diventa la causa, il rischio la conseguenza.
Immedesimiamoci ad esempio in un imprenditore 40enne che si ritrova in un momento di crisi lavorativa: necessita un cambiamento e lo otterrà soltanto spostando le carte in tavola e osando di più.

Questa considerazione nasce da un dato: gli startupper di successo hanno un età media di 43 anni.
La mia prima reazione, e credo anche la vostra è stata un mix di stupore e incredulità.
Abbiamo poi verificato nel nostro piccolo, facendo una media dell’età dei nostri coworker all’interno di SpazioTu.
Il risultato dell’indagine, come già detto e approfondito in un vecchio articolo (https://www.spaziotu.com/startupper-a-43-anni/) , è il medesimo.

Questo mi ha spinto a ragionare ed analizzare, nel mio piccolo, anche la mia crescita personale e le passate esperienze lavorative.

Il 2009 è passato da un decennio e sono cambiate tante cose.
Ho 23 anni e non sono certamente la persona più navigata di questo mondo ma se penso all’ansia che mi bloccava durante i primi impeghi e che spesso mi spingeva ad accettare un lavoro basandomi solamente sulla certezza di uno stipendio mensile mi viene da sorridere.

Questo perché ho avuto il coraggio di rischiare, cambiare e cercare qualcosa di più inerente alle mie caratteristiche.

Non si denigra nessun lavoro, sia chiaro, ma bisogna avere il coraggio di trovare un punto di incontro tra necessità, interessi e capacità.

Il lavoro è la base della felicità perché occupa almeno il 50% delle nostre giornate.

La speranza è che gli attuali 20enni, ma anche quelli di domani, abbiamo la capacità di arrivare al rischio e al cambiamento senza dover passare dalla paura del futuro.

Forse però l’angoscia è una costante quando si parla di prospettive.
In questo caso posso solo sperare che non diventi un blocco per una carriera lavorativa ma, piuttosto, lo sprint iniziale per una vita piena di soddisfazioni.